“La fotografia è una voce piccola, nella migliore delle ipotesi, ma a volte, solo qualche volta, una fotografia o un gruppo di esse può attirare i nostri sensi alla consapevolezza. Molto dipende dallo spettatore; in alcuni, le fotografie possono evocare abbastanza emozione per essere un catalizzatore del pensiero. Altri, o forse molti di noi, possono essere influenzati dall’attenzione alla ragione, per trovare un modo per correggere ciò che è sbagliato e possono persino cercare una cura per una malattia. Il resto di noi può forse sentire più grande senso di comprensione e compassione per coloro le cui vite sono estranee alla nostra. La fotografia è una piccola voce. Ci credo. Se è ben concepita, a volte funziona”.
William Eugene Smith
Un nome qualunque per alcuni, una fonte d’ispirazione per altri: William Eugene Smith nei suoi 40 anni di carriera da fotografo documentarista è riuscito a donarci una panoramica nuda e cruda di quelli che sono stati anni complicati.
A cavallo tra la seconda guerra mondiale e i disastri ambientali del Giappone, Smith è riuscito a presenziare sui più grandi scenari e offrirci prove reali e tangibili di quanto accaduto. Andando contro tutto e tutti, forse è stato il primo a fornirci una realtà piena di emotività. Almeno per chi la vuole leggere!
Sommario
William Eugene Smith: il fotografo dei sentimenti
Partiamo dall’inizio. William Eugene Smith, detto anche “Gene Smith”, nacque a Wichita, Kansas, il 30 dicembre del 1918. Già dall’età di 14 anni iniziò a usare la prima macchinetta fotografica per gli studi aeronautici, per poi collaborare con due giornali locali. Tuttavia dei suoi primi scatti non resta nulla dato che li distrusse con le sue stesse mani perché considerati non all’altezza.
Visse poi anni di gioventù complicati in cui il padre si tolse la vita, argomento sul quale i giornali americani riportarono solo notizie distorte ponendo le basi per una forte disillusione nei confronti del giornalismo statunitense. Da questo momento Gene Smith si ripromise di diventare un fotoreporter determinato, i cui affascinanti ed enormi saggi fotografici si sarebbero fondati su un’assoluta onestà personale in ogni suo documentario.
I tratti distintivi del fotografo americani furono evidenti sin da subito. Forte senso di empatia e consapevolezza sociale erano i due punti forti su cui si fondava ogni suo singolo lavoro.
Gli inizi della carriera di Gene Smith
Nel 1936 iniziò la sua carriera universitaria alla Notre Dame University ma la abbandonò di lì a poco. Subito dopo trovò un nuovo lavoro presso il settimanale Newsweek, dal quale verrà poi licenziato dopo il rifiuto di usare le macchine fotografiche Graphic 4×5. Da questo evento si denota ancora come William Eugene Smith non fosse affatto un fotografo facile e accondiscendente.
Negli anni che vanno dal 1938 al 1939 Smith lavorò da freelance come fotografo per la Black Star Agency, pubblicando fotografie in Life, Collier’s, Harper’s Bazaar e altri periodici, compreso il New York Times. Un’altra sua particolarità fu il lavorare con macchine fotografiche in miniatura, che gli diede la possibilità di creare un’innovativa tecnica flash capace di produrre fotografie per interni luce naturale o di lampada.
William Eugene Smith come fotografo di Life
Nel 1942 Smith divenne corrispondente di guerra per la rivista Life per la quale seguì la maggior parte delle più importanti battaglie nel Pacifico, tra cui Tarawa, Saipan, Guam e Iwo Jima. Fu proprio in questo periodo professionale che Smith scattò le sue prime foto più famose dalle quali traspare tutta l’empatia del fotografo verso le vittime americane. Il suo impegno sociale come fotoreporter Gene Smith l’ha vissuto continuamente immedesimandosi con la sofferenza, la paura e il dolore dei protagonisti. Per lui i suoi lavori non avevano altro ruolo che quello di essere “un potente catalizzatore emotivo “.
Talvolta addirittura arrivando al punto di ferirsi come nel caso di Okinawa, dove nel 23 maggio 1945, Smith fu colpito da un frammento di una granata che gli ferì la mano sinistra, il viso e la bocca. Negli anni successivi questo evento lo limitò molto dal punto di vista lavorativo e lo impegnarono in dolorosi interventi e in una lunga riabilitazione.
Solo nel 1947 riuscì a riprendere la sua carriera da fotografo, divenendo nel 1949 presidente della Photo League.
Gli anni della presidenza alla Lega e della Magnum Photo
Per chi non lo sapesse, la Photo League era una cooperativa fotografica di New York per fotografi d’élite, attiva negli anni che vanno dal 1936 al 1951. Tutti gli associati erano accomunati da una serie di cause sociali e creative e tra i nomi dei membri si annoverano la maggior parte dei fotografi americani più influenti del periodo: Margaret Bourke-White, W. Eugene Smith, Helen Levitt, Arthur FSF, Arthur Rothstein, Beaumont Newhall, Nancy Avallon, Richard Avedon, Weegee, Robert Frank, Harold Feinstein, Ansel Adams, Edward Weston e Minor White.
In questo periodo William Eugene Smith si dedicò a numerosi saggi fotografici, tra cui Country Doctor (1948), dalla potente forza psicologica e Spanish Village (1951), in cui con grande compassione ed empatia racconta la storia di un villaggio appartenente a una terra impoverita e in una continua lotta alla sopravvivenza.
Dopo un ennesimo crollo di fiducia verso il sistema informativo americano, a 36 anni Smith decide di rompere definitivamente i rapporti con il Life e nel 1955 diventa membro anche del Magnum Photo, stavolta insieme a Henri Cartier-Bresson e Robert Capa.
Gli anni in Giappone e il reportage Minamata
Sono questi forse gli anni più forti emotivamente per William Eugene Smith. A partire dal 1970 Smith venne in contatto con la realtà agghiacciante delle nuove scoperte in campo di disastro ambientale in Giappone.
Senza alcun artificio, manomissione o ritocco Smith ha raccontato la storia della “Malattia di Minimata” chiamata così perché fu un caso esteso di intossicazione da mercurio in tutta la baia di Minimata scoperto solo nel 1956. Uso il termine “solo” perché a quanto pare si tratta di alcune perdite di metilmercurio rilasciate nelle acque reflue dell’industria chimica Chisso Corporation dal 1932 fino al 1969. È il caso grave di acque intossicate per anni, intaccando di conseguenza anche i pesci, molluschi e crostacei presenti in essa. Tutta una quantità di alimenti tipici degli abitanti dell’isola di Kyushu, nella quale si sono presentati la maggior parte dei casi di contaminazione.
Le ripercussioni sono state di tipo neurologico, con atassia, parestesie, indebolimento muscolare, deficit visivi e uditivi. Si possono presentare anche casi gravi di paralisi, o coma, fino alla morte. Inoltre, cosa ancora più devastante, la malattia è trasmissibile al feto comportando effetti teratogeni.
L’operato di William Eugene Smith mai come in questo caso viene descritto come “Un bianco e nero sporco ed intenso” ed è proprio attraverso questo lavoro di bianchi e neri che il fotoreporter riesce a trasmettere tutto il sentimento che caratterizza il suo linguaggio travolgente. Grazie ai suoi scatti duri e grezzi, ma pur sempre autentici, lo stile dei suoi reportage hanno avuto il ruolo di rivoluzionare la storia del fotogiornalismo, insieme alla potenza delle sue immagini, che invece hanno scritto quella della fotografia.
Un grande fotoreporter fino alla fine
Distaccato da editori e riviste che potessero tarpare le sue ali con limiti da non violare e consegne da rispettare, più gli anni avanzavano e più William Eugene Smith ha cercato di crearsi il suo percorso creativo personale. Il suo forte senso di funzione etica della fotografia l’ha spinto sempre di più a raggiungere una piena autonomia professionale e in qualsiasi suo ambito: scelta delle immagini, la sequenza, l’impaginazione.
Uno degli ultimi incarichi fotografici risale al progetto di Pittsburgh per la commemorazione del bicentenario della fondazione. All’inizio la sua durata doveva essere di sole 3 settimane ma il suo lavoro si prolungò per ben tre anni. In questi luoghi Smith rimase per raccontarne i paradossi ma alla fine finì in bancarotta.
Grazie al sostegno dell’amico Ansel Adams, William Eugene Smith ottenne una cattedra all’università dell’Arizona nel 1976 ma lo colpì una grave forma di diabete che lo accompagnò fino alla morte a Tucson, in Arizona, il 15 ottobre 1978.