Se da un lato c’è chi reputa la fotografia di paesaggio una combinazione di forme e colori, dall’altro c’è chi invece, il paesaggio, lo interpreta e lo tratta come un essere vivente. Questo è il caso di Jacob Howard, il fotografo neozelandese che dal 2011 fino ad oggi ha fatto del paesaggio un’enorme storia da narrare.
Ogni scatto, per lui, è un racconto che affonda le sue radici in una complessa e profonda triade semantica: isolamento, silenzio e disagio. Si tratta di una visione della vita e del mondo alquanto perturbante dalla quale Howard è partito per dare senso e significato alle sue inquadrature.
Come qualsiasi fotografo naturalista famoso che si rispetti, il neozelandese ha fatto di questi 3 pilastri il decisivo punto di partenza per poter mettere in connessione soggetto fotografico e osservatore attraverso gli occhi del fotografo.
Partendo dalle emozioni provate in quel determinato scenario, il fotografo di paesaggi cerca di comunicare l’impotenza umana dinanzi alla grandezza di tutto ciò che lo circonda. Nei suoi scatti, Howard non ha nessun altro interesse se non quello di definire i ruoli universali tra la potenza estetica del paesaggio naturale e l’impotenza umana davanti a esso.
Come afferma il fotografo stesso, il suo interesse narrativo è proprio quello di fermare l’attimo in cui avviene questa presa di coscienza umana e farne un’opera d’arte. Analizziamo insieme la direzione artistica che nel tempo Howard ha deciso di attribuire alle sue creazioni, ripercorrendo tutti i progetti più importanti dell’artista.
Sommario
Distant (2014)
Il 2014 è l’anno di “Distant”, terzo progetto fotografico tra le sue pubblicazioni, sempre basato sull’impatto della vastità e della bellezza dell’ambiente naturale sull’uomo inerme.
La particolarità di questo progetto è che il fotografo, con la sua macchina fotografica, diventa lo spettatore dello spettatore. È come se nelle sue fotografie di paesaggio si bloccasse la sfera spazio-temporale e gli occhi di Howard si fondessero con i soggetti nelle foto.
In realtà lo scopo dell’autore non è assolutamente quello di mettere in risalto l’essere umano, quanto la sua piccolissima presenza nell’immensità del paesaggio naturale. Il vero soggetto, dunque, è l’immenso naturale che avvolge e travolge l’uomo.
Proprio così come dichiara durante un’intervista al Surreal Magazine: “Ciò che mi interessava da un punto di vista narrativo, era il modo in cui la vastità schiacciante e la bellezza dell’ambiente naturale hanno influenzato me, lo spettatore distante e le persone che esistono al suo interno. Un luogo dove il paesaggio emana una natura sacra dove l’uomo è una semplice prestanome”.
E così, indirettamente, Howard decide di mettere da parte l’uomo attribuendogli il mero ruolo di prestanome nei confronti della sacralità naturale.
The Otherside (2016)
Da sempre appassionato di scenari naturali, rispetto agli inizi, in questa fase del suo percorso artistico-personale il fotografo ha virato lentamente la rotta dotando di senso elementi che prima non ne avevano o, addirittura, che non c’erano.
Da come si evince nell’intervista a Elle Decor, Howard ha estrema coscienza del salto creativo che ha effettuato: “Quando ho iniziato a fare fotografie, ero motivato dal tentativo di catturare il lato più oscuro dell’ambiente neozelandese, solitamente incontaminato e sempre dominante. Ero interessato a capire come il paesaggio impattasse su di me – spettatore lontano – e sulle persone che lo abitavano. Ritraevo la natura come sacra e rappresentavo l’uomo come un semplice ornamento scultoreo” (vedi Kaitemako e Ata Whenui Shadowland).
Nei lavori del progetto “The Otherside” del 2016, infatti, si inizia a scorgere una presenza più costante e affermata dell’essere umano rispetto ai paesaggi iniziali che, cupi e desolati, non facevano altro che trasmettere solitudine e inquietudine.
Adesso la luce è diversa, i colori sono più vividi e c’è più dinamicità nelle immagini: l’essere umano diventa soggetto partecipe nella natura e non più solo distante e inerme.
The Decent (2018)
Il 2018 è l’anno del passo indietro: riecco il ritorno alla filosofia fotografica dell’artista neozelandese secondo il quale, la natura che tutto ingloba, ha ancora qualcosa da comunicare.
Alla fine Howard nasce come fotografo di paesaggi a tutti gli effetti, e non come fotografo di ritratti (a meno che non si possa considerare ritrattista qualcuno che il soggetto del ritratto lo fa coincidere con la natura stessa).
Nel progetto “The Decent” si torna indietro, è vero, ma tutto si fonda inevitabilmente sul rapporto “uomo-paesaggio”. Nonostante gran parte dell’inquadratura venga occupata da paesaggi naturali, il fotografo cerca in realtà di evidenziare al suo interno anche l’uomo con un focus tutto personale.
Howard lo osserva e lo disegna dal suo mirino come uno spettatore distante rispetto al resto del mondo, come una parte del tutto che non può far altro che praticare l’antropica capacità della contemplazione senza potersi esprimere più di tanto.
Il vero soggetto è dunque il rapporto “uomo-paesaggio” in cui il primo ha le mani legate rispetto a tutto ciò che gli viene imposto dalla grandezza e dall’inevitabile bellezza del paesaggio circostante.
Atlas Obscure (2019)
Che fotografo sarebbe se non avesse fatto del suo lavoro un enorme e lungo viaggio? Nella serie “Atlas Obscure”, infatti, Howard ci rende partecipi del suo viaggio tra Marocco e Giordania. In questi luoghi l’artista incontra la natura e la cultura dei posti e, spinto dalla curiosità dell’ignoto, immortala momenti inaspettati.
In questo progetto, nello specifico, nel ritrarre frammenti di città marocchine dell’Alto Atlante, il fotografo sposta il focus sugli edifici, strutture orientali talvolta abbandonate, talvolta ancora in costruzione, avvolte da colori e luci caldi tipici del deserto. Perché è questo il paesaggio enigmatico di questa nuova serie, un vasto spazio montuoso ben diverso da quelli che erano gli scorci neozelandesi degli inizi.
Qui le persone sono di nuovo poche e lontane: si trovano quasi sullo sfondo di un paesaggio misto a cieli bianchi, edifici colorati e oggetti sparsi che spezzano la continuità sabbiosa del luogo. Attraverso il senso di vuoto e abbandono, le fotografie di questa serie vogliono rappresentare proprio la povertà di questo territorio quasi dimenticato dal resto del mondo.
The land between the seas (2020)
Ancora paesaggi desertici ma stavolta si viaggia in Giordania. Per il progetto “The land between the seas” del 2020 Jacob Howard continua a soffermarsi sulla grandiosità della natura e sull’impronta onnipresente dell’uomo. In questo lavoro fatto di paesaggi desertici caratterizzati da un rosso che fa da padrone, il fotografo dà vita a scatti dalla libera interpretazione.
Per un progetto che si basa prevalentemente sulla transitorietà, l’artista non poteva pretendere un’unica via interpretativa. Partendo dal dialogo tra pace e solitudine, Howard ritrae “l’essere nel mezzo” e tutte le sensazioni che ne conseguono: attraverso la sua fotografia di paesaggio l’artista vuole e riesce a comunicare il momentaneo, il mutabile, il passeggero e il provvisorio.
In questa serie, tutti questi concetti astratti prendono vita e si fanno emblema assoluto di una verità temporale e sfuggente che può appartenere solo a una relazione come quella “uomo-paesaggio”.