Abbiamo già visto in un precedente paragrafo come i fotodiodi siano gli elementi sul sensore responsabili del rilevamento della luce.
Quando la luce colpisce i fotodiodi il segnale luminoso viene convertito in un segnale elettrico che è elaborato dal processore per generare l’immagine finale.
Tuttavia, abbiamo anche visto come i sensori siano dotati di una gamma dinamica definita (generalmente sui 12 stop per macchine di buon livello) ovvero hanno un minimo e un massimo quantitativo di luce che sono in grado di rilevare.
Questo significa che se al sensore arriva un quantitativo di luce minore del suo limite di rilevamento inferiore, il segnale luminoso non sarà in grado di “attivare” i fotodiodi a sufficienza per cui questo segnale non viene rilevato e il processore lo interpreterà come nero assoluto nella nostra immagine.
In maniera simile, quando il quantitativo di luce supera il limite superiore della gamma dinamica del sensore questo segnale viene elaborato dal processore come bianco assoluto.
Per fare un esempio pratico possiamo immaginare il nostro sensore come un contenitore per liquidi graduato con una scala che va da 0,1 litro a 1 litro.
Se cominciassimo a versare nel contenitore una quantità di acqua molto molto minore di 0,1 litro non saremo in grado li stabilirne il quantitativo in maniera corretta usando la scala del contenitore.
Solo quando l’acqua versata sarà almeno 100 ml (0,1 litro) allora saremo in grado di leggerne il quantitativo.
Continuando a versare acqua, saremo in grado di leggerne il quantitativo fino a quando non supereremo il limite superiore del contenitore (1 litro).
Continuando infatti a versare acqua, non saremo in grado di determinarne il volume e ai fini della nostra misurazione non potremo sapere se sono stati versati 1,2 litri o 1,5 litri in quanto l’acqua in eccesso sarà fuoriuscita dal contenitore.
Tutto ciò che possiamo constatare è che il limite superiore di 1 litro è stato superato quindi nel nostro contenitore avremo un volume di acqua indefinito maggiore di un litro.
Allo stesso modo, tutti i segnali luminosi che colpiscono il sensore superandone il limite inferiore e superiore di rilevamento offerto dalla gamma dinamica verranno memorizzati nelle nostre immagini come nero o bianco rispettivamente.
Per capire le implicazioni di questo aspetto proviamo ad immaginare di voler fotografare una lampadina ad incandescenza che avrà una luminosità minore nella zona esterna e una luminosità maggiore nella zona della resistenza interna.
Se esponiamo la foto correttamente, ovvero per una quantità di tempo sufficiente a imprimere il segnale luminoso sul sensore senza che si superino il limite superiore e inferiore di rilevazione, saremo in grado di vedere nella fotografia la lampadina nella sua interezza.
Se invece i tempi di scatto sono eccessivamente lunghi allora la lampadina verrà registrata dal sensore come una zona di luce completamente bianca e senza alcun tipo di dettaglio.
Questo perché il segnale luminoso di una lampadina è molto forte e con tempi di scatto molto lunghi verrebbe superato il limite di rilevazione superiore del sensore. In poche parole è come se avessimo versato un barile d’acqua in un contenitore capace di contenere un litro di liquido.
Non sapremo mai quanta acqua avremo versato, ma l’unica cosa che possiamo affermare con certezza è che l’acqua versata sia superiore ad un litro (in quanto il nostro contenitore sarà riempito fino all’orlo)
Se invece i tempi di scatto sono eccessivamente brevi, la quantità di luce che ha colpito il sensore non sarà sufficiente a generare un segnale visibile e la foto apparirà nera.
Quando in un nostro scatto avremo superato i limiti di rilevazione del sensore, per i motivi descritti precedentemente, avremo delle regioni nelle nostre fotografie che conterranno pixel completamente neri o completamente bianchi.
Queste zone prive di dettaglio sono definite in inglese “clipped” mentre in italiano sono chiamate “bruciate” o “bucate” ed è uno degli errori più importanti da evitare in fase di scatto.
L’istogramma è uno strumento potentissimo che ci viene in aiuto sia in fase di scatto che in fase di post-produzione per evitare di avere zone bruciate.
L’istogramma di un’immagine che contiene regioni bruciate è caratterizzato da una distribuzione dei pixel a ridosso di uno o di entrambi i limiti esterni dell’istogramma stesso.
Se la foto contiene delle ombre bruciate o “clipped” allora avremo una certa quantità di pixel a ridosso del limite sinistro dell’istogramma (Fig. 2).
In una foto sovraesposta in cui le luci sono bruciate, un certo quantitativo di pixel sarà a ridosso del limite destro (Fig. 3).
Possiamo anche avere scene ad alto contrasto (ovvero caratterizzate da zone molto chiare e zone molto scure) in cui possono risultare bruciate sia le zone in ombra che le zone di alte luci.
Sfruttare l’istogramma per evitare le zone bruciate
L’istogramma fornisce un’elevata quantità di informazioni sulle nostre immagini.
Ad esempio quando il nostro istogramma forma una “gobba” nella zona centrale del grafico significa che la nostra immagine sarà caratterizzata da un’elevata quantità di mezzi toni (vedi Fig. 3 nella lezione sull’istogramma).
Se l’istogramma è invece spostato verso il lato sinistro allora la nostra immagine avrà prevalentemente toni scuri e questo può accadere perché abbiamo fotografato una scena con molti toni scuri Fig. 1B oppure potrebbe indicare che abbiamo sottoesposto l’immagine Fig. 2.
Viceversa un istogramma distribuito molto a destra può indicare un’immagine con un’elevata quantità di alte luci (Fig. 1A) oppure un’immagine sovraesposta come nel caso della Fig. 3.
Non dobbiamo tuttavia confondere istogrammi spostati a destra o a sinistra con immagini esposte in modo sbagliato. Come abbiamo già accennato immagini contenenti una maggioranza di elementi scuri come un gatto nero che riempie il fotogramma saranno naturalmente spostati verso sinistra anche se la foto è correttamente esposta. Immagini con zone luminose in abbondanza come una foto di un paesaggio innevato saranno invece naturalmente spostate verso destra (Fig. 1A e B).
Vediamo a questo punto come rilevare la presenza di zone bruciate sia in fase di scatto che in fase di post-produzione.
Fase di scatto
Dopo aver scattato una foto, la maggior parte delle fotocamere permettono di visualizzare l’istogramma associato alla foto scattata.
Durante questa fase dobbiamo stare attenti che la distribuzione dei nostri pixel non sia schiacciata sul limite sinistro o destro del grafico altrimenti dobbiamo aggiustare l’esposizione.
Un altro strumento potente messo a disposizione dalle reflex è la funzione che su Nikon è chiamata “Alte Luci” che segnala, facendole lampeggiare, quali aree della foto sono sovraesposte.
Come dice il nome questa funzione è applicabile esclusivamente alle zone della nostra immagine che sono sovraesposte.
Le reflex più avanzate hanno la possibilità di visualizzare l’istogramma in tempo reale sul display posteriore mentre la fotocamera è in live view.
In questo modo possiamo capire in tempo reale come varia la distribuzione dei valori tonali in base alla scena inquadrata e ai settaggi dell’esposizione.
Le fotocamere mirrorless hanno inoltre la capacità di visualizzare un istogramma in fase di scatto anche nel mirino elettronico visto l’utilizzo di un display miniaturizzato al suo interno.
Un’altra funzione che sta prendendo piede negli ultimi anni è chiamata Zebra Pattern (Motivo Zebrato).
Quando la funzione Zebra Pattern è attiva vengono sovrapposte all’immagine delle linee o strisce oblique che indicano le regioni più vicine alla sovraesposizione permettendo di regolare i parametri di scatto di conseguenza.
Le reflex più avanzate e dotate dello Zebra Pattern ne permettono la visualizzazione solo sul display posteriore in live view, mentre le mirrorless saranno in grado di visualizzarlo anche nel mirino elettronico.
Fase di post-produzione
Una volta che abbiamo aperto una nostra immagine con un software di post-produzione dovremmo essere in grado di dire, guardando l’istogramma, se la foto è sovra o sottoesposta e se eventualmente ci sono delle regioni bruciate.
In caso di zone bruciate avremo che la distribuzione dei pixel nel nostro istogramma si addenserà sul lato sinistro, destro o entrambi i lati del grafico.
Questo è tanto più evidente quanto più è estesa l’area della foto contenente pixel bruciati.
Talvolta però le regioni di luci o ombre bruciate non sono particolarmente estese, ma sono limitate a porzioni ristrette della foto e in questo caso può diventare abbastanza difficile capire se una regione è bruciata o se è invece solo al limite delle zone tonali chiare o scure.
In questi casi i software di post-produzione mettono a disposizione diversi sistemi per poter rilevare le regioni sovraesposte nelle nostre immagini anche quando sono molto ristrette.
Lightroom ad esempio offre un paio di funzioni interessantissime e di semplice utilizzo.
Come è possibile vedere in Fig. 2A e 3 negli angoli in alto dell’istogramma sono presente dei piccoli riquadri con dei triangoli che puntano verso l’alto che sono indicatori delle zone bruciate (chiamati da Lightroom indicatori di ritaglio).
Come abbiamo detto queste aree sono completamente bianche o nere e per questo prive di dettagli.
L’indicatore delle ombre bruciate si trova in alto a sinistra mentre quello delle luci bruciate in alto a destra.
Quando l’immagine non contiene regioni bruciate gli indicatori sono spenti mentre se esistono luci o ombre bruciate ci avvertono diventando accesi (Vedi Fig. 4A e B).
Lightroom permette di evidenziare nella foto eventuali regioni bruciate cliccando su uno o entrambi gli indicatori.
Le zone bruciate in ombra nella foto diventano evidenziate in blu, mentre le zone luminose bruciate sono evidenziate in rosso (Fig. 4C).
Anche Capture One, un altro software molto diffuso per la post produzione, mette a disposizione uno strumento simile chiamato “Exposure Warning” (avviso di esposizione), che in maniera simile a Lightroom, colora in rosso le aree bruciate nelle alte luci e in blu quelle bruciate nelle ombre.