Abbiamo già visto che all’interno dell’obiettivo vi è un elemento fondamentale chiamato diaframma.
Il diaframma crea un foro di dimensione variabile in grado di regolare il quantitativo di luce che passa attraverso l’obiettivo in base alla volontà del fotografo.
L’apertura del diaframma viene espressa come rapporto focale (ad esempio f/1.4, f/4, …).
Aperture del diaframma più ampie sono indicati da valori f più bassi (f/1.4, f/1.8, …) e permettono il passaggio di una maggiore quantità di luce mentre diaframmi più chiusi (f/16, f/22, …) riducono la quantità di luce che può raggiungere il sensore.
Il diaframma agisce in poche parole come un rubinetto di cui siamo in grado di regolare l’apertura a nostro piacimento dove però al posto dell’acqua scorre la luce (Fig. 1).
Regolando direttamente la quantità di luce che arriva al sensore, anche l’apertura del diaframma fa parte del triangolo dell’esposizione e la sua regolazione diventa fondamentale per ottenere le fotografie desiderate.
Anche nel caso del diaframma sarà possibile fare delle variazioni con intervalli di 1 stop o 1/3 di stop (Vedi Fig. 2).
Alcuni esempi per capire a quanti stop corrispondono cambiamenti dell’apertura del diaframma:
- da f/2.8 a f3.2 (-1/3 di stop)
- da f/2.8 a f/3.5 (-2/3 di stop)
- da f/2.8 a f/4 (-1 stop)
- da f/2.5 a f/3.5 (-1 stop)
- da f/10 a f/9 (+1/3 di stop)
La profondità di campo
Immaginiamo di voler scattare un ritratto ad un nostro amico e l’apertura del nostro diaframma è f/5.6.
Abbiamo detto che se dobbiamo scattare a mano libera i tempi di scatto devono essere veloci per evitare di ottenere una foto mossa.
Per essere sicuri, il tempo di scatto dovrà essere intorno all’inverso della lunghezza focale dell’obiettivo, quindi se scattiamo con un obiettivo da 100 mm un tempo di scatto di 1/100 dovrebbe essere sufficiente per evitare una foto mossa.
Andando a vedere il nostro esposimetro ci rendiamo però contro di come la foto scattata ad 1/100 di secondo sia sottoesposta di due stop e sia per questo più scura del dovuto.
Per mantenere una velocità di scatto di 1/100 possiamo, se l’obiettivo ce lo consente, aumentare l’apertura del diaframma di due stop passando da f/5.6 a f/4.0 e poi a f/2.8.
In questo modo la maggiore apertura del diaframma consente l’arrivo al sensore della quantità di luce ideale per ottenere una foto correttamente esposta.
Regolando il diaframma abbiamo quindi risolto il problema dell’esposizione. Vediamo però adesso cos’altro succede quando agiamo sul diaframma.
Gli obiettivi sono capaci infatti di mettere a fuoco solo in un determinato punto ad una certa distanza scelta dal fotografo.
Ad esempio, se il nostro soggetto si trova a 3 metri e scegliamo di mettere a fuoco sul suo volto, il punto di messa a fuoco sarà a 3 metri e possiamo immaginare un piano focale parallelo al sensore della fotocamera che passa attraverso quel punto.
Solo tutto ciò che passerà attraverso il piano focale sarà perfettamente a fuoco. Quando facciamo una fotografia ci capita di notare come anche oggetti più vicini o più lontani rispetto a quello messo a fuoco, possono comunque apparire nitidi.
Questa porzione di scena inquadrata possiede in realtà soltanto una nitidezza apparente ed è appunto la profondità di campo o PdC (Fig. 3).
Quindi la profondità di campo rappresenta la zona della nostra immagine in cui gli oggetti appaiono ancora nitidi e sufficientemente a fuoco nonostante non siano direttamente collocati sul piano focale.
Si può desiderare una profondità di campo estremamente ridotta come ad esempio in alcuni ritratti in cui si vuole solo l’occhio del soggetto perfettamente a fuoco (il piano focale è sull’occhio), e le orecchie saranno fuori fuoco.
Nella fotografia paesaggistica invece si tende a massimizzare la profondità di campo per avere sia il primo piano che lo sfondo nella zona di nitidezza apparente.
La profondità di campo delle nostre immagini viene influenzata da quattro parametri:
- La distanza del soggetto messo a fuoco
- La lunghezza focale dell’obiettivo
- L’apertura del diaframma
- La dimensione del sensore
La PdC aumenta all’aumentare della distanza a cui si trova il piano focale (e quindi il punto di messa a fuoco).
Se immaginiamo di mettere a fuoco un nostro amico che si trova ad un metro di distanza con un obiettivo da 50 mm con apertura f/4.0, la profondità di campo sarà solo di 9 cm. In particolare, saranno a fuoco 4 cm anteriormente al piano focale e 5 cm posteriormente.
Se il nostro amico si sposta a 5 metri la profondità di campo sarà di 2,52 metri (0,96 m davanti e 1,56 m dietro il piano focale).
Se il nostro amico si muove ancora qualche passo indietro fino a raggiungere una distanza di 10 metri allora la nostra profondità di campo sarà di 12,37 metri (3,23 m davanti e 9,14 m dietro).
Anche la lunghezza focale dell’obiettivo influisce sulla profondità di campo. In particolare, mantenendo fisso il punto di messa a fuoco e aumentando lunghezza focale, la PdC diminuisce.
Abbiamo detto che fotografando il nostro amico a 5 metri con un obiettivo da 50mm ad f/4 la PdC è di 2,52 m.
Se lo fotografassimo con un obiettivo da 35 mm la PdC aumenterebbe a 6,37 m. Se invece usassimo un teleobiettivo da 100 mm la PdC scenderebbe a 0,59m (Fig. 4).
L’apertura del diaframma è spesso il parametro più facile da modificare per variare la nostra profondità di campo.
All’aumentare dell’apertura del diaframma (valori f più piccoli) la profondità di campo diminuisce. Viceversa, chiudendo il diaframma (valori f più grandi) la PdC aumenta (Fig. 5).
Tornando all’esempio del nostro amico, abbiamo detto che scattando un ritratto ad 1 m di distanza con apertura f/4.0 e lunghezza focale 50 mm la PdC è di 9 cm.
Se il nostro obiettivo ce lo permette e decidessimo di aprire il diaframma a f/1.8 la PdC sarebbe di soli 4 cm!
Queste profondità di campo cosi ristrette possono richiedere una buona dose di esperienza per essere gestite in quanto basta un piccolo movimento del soggetto dopo che abbiamo messo a fuoco per farlo risultare al di fuori della nostra porzione di scena a fuoco.
Al contrario, se decidessimo di chiudere il diaframma ad f/22 la PdC diventerebbe 0,55 m.
Aprire il diaframma può essere utile quindi per decidere di creare uno sfondo sfuocato mantenendo il nostro soggetto principale a fuoco.
Questa è una tecnica usata tantissimo dai fotografi per cercare di distogliere lo sguardo dell’osservatore dallo sfondo per dirigerlo sul soggetto (Fig. 6).
Anche la dimensione del sensore influenza la profondità di campo delle nostre immagini. Mantenendo inalterati gli altri parametri, più grande è il sensore, più ristretta sarà la PdC.
Questo implica che con fotocamere a pieno formato o a medio formato sia più facile ottenere degli sfondi sfuocati.
Di conseguenza è anche molto difficile ottenere uno sfondo sfuocato scattando con fotocamere dotate di sensori di dimensioni ridotte come nel caso dei nostri smartphone.
In questo caso, per ovviare ai limiti imposti dalle leggi dell’ottica, i produttori hanno introdotto la possibilità di creare un effetto sfuocato digitale.
Esistono diverse applicazioni per smartphone e siti web che permettono di calcolare facilmente la PdC sulla base dei parametri descritti sopra.
Apertura e nitidezza
Un altro aspetto influenzato dall’apertura del diaframma è la nitidezza dell’immagine.
Generalmente le lenti hanno la maggiore nitidezza con un’apertura compresa tra f/5.6 e f/11 in base al modello della lente.
Quando il diaframma è a tutta apertura (il valore f numericamente più piccolo disponibile sull’obiettivo) le immagini sono dotate di una minore quantità di dettaglio rispetto a quando il diaframma è chiuso di alcuni stop rispetto a questo valore.
Questo significa che per un obiettivo con apertura massima di f/2.8, le foto saranno più nitide quando scattate a f/5.6 rispetto a quando scattate a f/2.8.
Viceversa, diaframmi molto chiusi come f/18 e f/22 sono responsabili dell’insorgenza di un fenomeno chiamato diffrazione.
La diffrazione è un fenomeno fisico che si verifica quando le onde incontrano un ostacolo o devono passare attraverso una fessura.
Quando questo accade, si verifica una deviazione della traiettoria di propagazione delle onde rispetto alla loro direzione originale.
La luce si propaga come un’onda e prima di giungere al sensore deve passare attraverso una fessura che è rappresentata dal diaframma.
La luce che passa attraverso il diaframma subirà una deviazione rispetto alla sua traiettoria originale in maniera proporzionale a quanto è piccola l’apertura del diaframma stesso (Fig. 7).
La deviazione della traiettoria della luce prima di raggiungere il sensore risulterà in una perdita di nitidezza dell’immagine (Fig. 8).
Breve esempio pratico. Se dovessimo scattare una foto ad un gruppo di amici, alcuni dei quali saranno posti davanti e altri dietro, dovremmo garantire che siano tutti correttamente a fuoco.
La migliore strategia è quella di chiudere leggermente il diaframma ed evitare di posizionarli troppo vicini al nostro obiettivo.