Conquista il podio nella classifica digital, ha spopolato e continua a campeggiare intrepido su tutti i social, è il termine di nuova coniazione più utilizzato e abusato, la cui consacrazione, a detta dell’Accademia della Crusca, sarebbe avvenuta nel 2013. Stiamo parlando del selfie, l’autoscatto vanaglorioso che ha conquistato gli specchi dell’utenza 2.0.
Selfie Vs Autoritratto
Importante è la sua diffusione e l’enorme spinta che ha esercitato sulla querelle sociologica che ha interessato questioni che corrodono la nostra interiorità, quali la rappresentazione, l’immagine, il narcisismo e il desiderio di bellezza a qualsiasi costo, la ricerca sfrenata di conferme e rassicurazioni da parte degli altri, un’informazione autoreferenziale e manipolata che punta a far sapere agli altri dove e con chi si è e per testimoniare un evento. Una matrice che porta alla luce la distanza che esiste tra il selfie e l’autoritratto. Un confronto diretto e serrato, il nuovo e il vecchio, il vacuo e il profondo. Un autoritratto non è un selfie.
Robert Capa:
Richard Avedon:
L’autoritratto è una testimonianza e viene fuori dalla necessità di documentare attraverso le pieghe di un volto la propria vita, lasciando agli altri una traccia di sé. L’autoritratto non è un selfie. L’autoritratto è una fotografia splendida che comunica con l’esterno. La fotografia, tramite l’autoritratto, sublima l’artista che consegna nelle nostre mani qualcosa di realmente prezioso, non la vuota immagine di sé, ma qualcosa di profondamente personale e interiore.
Vivian Maier:
Tutt’altro che un “cogli l’attimo”, l’autoritratto è la fredda testimonianza del crudo momento in cui il fotografo decide di rivolgere la macchina a sé. È il compimento maturo della sua essenza.
E il selfie non è un autoritratto in quanto azione inversa che consegna ai nostri occhi la percezione che chi scatta ha di sé, cucendosela perfettamente addosso, e che vuole che sia il più possibile vicina al proprio desiderio di identità condivisa, frutto di una pensata e strutturata attività di “impression management”. Se ripensiamo agli autoritratti del passato, Vincent van Gogh, ad esempio, non possiamo non notare come alla base dell’auto-rappresentazione ci sia un ribollire di profonda genuinità a fare da tappeto alla caduta del suo narcisismo.
Già, genuinità, oppure onestà, ma anche lo scrosciare di sentimenti e tumulto psicologico. Emozioni, sentimenti intimi eruttati, autoanalisi e autocontemplazione.
Il selfie, contrariamente all’autoritratto artistico e a quello fotografico, che denota sicuramente un amore e un apprezzamento che l’artista ha già di sé e che non deve perciò costruire, svuota la nostra auto-percezione, che auspica di essere riempita dalle interazioni e dagli apprezzamenti che la nostra comunicazione online riesce ad attivare. È certamente prematuro riferire le conseguenze di questa nuova grammatica del sé, ma sembra piuttosto assodato il cambiamento che rispettivamente comunicazione e socializzazione stanno vivendo in questo processo, caldeggiato, sotto la morsa della cura e talvolta dell’esasperazione della propria immagine, dei propri gesti ed espressioni del volto, il tutto per una o più manciate di secondi di gloria a prova di clic!
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